Una nuova splendida favola di Luis Sepúlveda: “Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà”
Aufman, che nella lingua mapudungun significa fedele e leale, è solo un cucciolo quando, dopo essere stato salvato da un giaguaro, viene affidato ai mapuche (Gente della Terra), una fiera popolazione cilena che da sempre abita quelle terre.
Da quel giorno, il pastore tedesco cresce avvolto dal calore della famiglia di Aukaman, il cucciolo d’uomo che ben presto diventa suo “fratello”.
La vita felice però è destinata a cambiare quando alcuni uomini spietati arrivano nel villaggio e cacciano i mapuche dalla loro terra, dopo aver ucciso il vecchio Wenchulaf (l’anziano saggio che si occupava di intrattenere i bambini raccontando storie) e preso Aufamn.
Per il cane allora inizia una vita di sofferenza, maltrattato e chiuso in una gabbia, prima di essere addestrato dai suoi nuovi padroni a dare la caccia agli animali e ai ribelli. Ma quando si tratta di inseguire proprio Aukaman, fuggito dopo essere stato ferito ad una gamba, il cane si impegna in ogno modo per salvare la vita del suo vecchio amico.
Ci riuscirà?
L’autore Luis Sepúlveda rende omaggio ai mapuche (tradotto come Gente della Terra), una pacifica popolazione che vive nel Sud del Cile, attraverso una storia che parla di lealtà, amore e coraggio.
Come sempre il protagonista è un animale, un cane, simbolo per eccellenza della fedeltà. Una storia semplice, come nello stile dell’autore, capace di scaldare il cuore e insegnare cosa significa il rispetto e l’amore per la natura e tutte le sue creature (descritte in modo poetico), la solidarietà, il coraggio e la fedeltà. Il tutto arricchito dalle splendide illustrazioni di Simona Mualazzani e da un glossario finale che spiega il significato di tutti i nomi in lingua mapudungun utilizzati nel testo.
Un libro che ci ricorda anche l’importanza della narrazione: raccontare una storia infatti non è fondamentale solo ai fini dello sviluppo del linguaggio orale, ma anche per abituarsi all’ascolto (capacità sempre più rara nelle nuove generazioni) e favorire la nascita del futuro lettore-scrittore, oltreché per la crescita conoscitiva e emotiva dell’individuo.
Anche se non siamo ai livelli di “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” – quello che rimane il capolavoro dello scrittore cileno – vale sicuramente la pena leggere questo breve racconto, possibilmente al tramonto insieme ai bambini, come fanno i mapuche.
Intanto è interessante e significativo riproporvi quanto dichiarato, recentemente in un’intervista, dallo scrittore cileno Luis Sepúlveda: «…Questo libro colma un debito che durava da tanti anni. Ho sempre sostenuto che gran parte della mia vocazione di scrittore nasce dal fatto di aver avuto nonni che raccontavano storie, e nel lontano Sud del Cile, in una regione chiamata Araucanía o Wallmapu, ho avuto un prozio, Ignacio Kallfukurá, mapuche (termine formato dall’unione di due parole – mapu, terra, e che, gente – la cui traduzione corretta è Gente della Terra), che al tramonto raccontava ai bambini mapuche storie nella sua lingua, il mapudungun. Io non capivo cosa dicevano tutti gli altri mapuche nella loro lingua nativa, però capivo le storie che narrava il mio prozio. Erano storie che parlavano di volpi, puma, condor, pappagalli, ma le mie preferite erano quelle che raccontavano le avventure di wigña, il gatto selvatico. Capivo cosa raccontava il mio prozio perché, pur non essendo nato in Araucanía, nella Wallmapu, sono anche io mapuche. Sono anche io ‘Gente della Terra’. Ho sempre desiderato raccontare una storia ai bambini mapuche, al tramonto, sulla riva del fiume, mangiando i frutti dell’araucaria e bevendo il succo delle mele appena raccolte negli orti. Ora che mi avvicino all’età del mio prozio Ignacio Kallfukurá, vi racconto la storia di un cane cresciuto insieme ai mapuche. Di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà».
Redazione