San Prisco, il monaco eremita “patrono della Città”

sanprisco

Nel corso delle lotte tra Longobardi e Bizantini, nel 663, la città di “Aeclanum” fu annientata dall’esercito di Costante II, che aveva portato con sé le spoglie di San Mercurio, come auspicio di vittoria sicura. I sacri resti, secondo la tradizione agiografica beneventana relative alle “legendae” di San Mercurio, erano stati affidati a un monaco eremita di nome Prisco.
San Mercurio, che in realtà si chiamava Filopatore ed era nato a Cesarea da stirpe Sciita, era stato un soldato a capo della coorte ‘Martenses’, cioè che onorava il dio Marte. Lo troviamo in seguito soldato cristiano a combattere in Armenia agli ordini del tribuno Saturnino. I suoi uomini lo vollero chiamare Mercurio perché durante una battaglia gli apparve la visione un angelo che con la sua spada annientava i nemici barbari, e ne seguì l’esempio uccidendo in battaglia molti soldati nemici, tanto che il re dei Persiani, Jotapan, e l’imperatore Decio lo nominarono generale.
Decio, come segno di riconoscimento e devozione, volle ringraziare per la vittoria la dea Artemide con dei sacrifici, ma San Mercurio si rifiutò di presenziare al rito e preferì ritirarsi nella sua tenda. Per questa ragione un soldato lo denunciò, e, successivamente, in tribunale Mercurio si dichiarò cristiano. Venne così condannato alla decapitazione, che avvenne il 25 novembre del 250 circa, nella sua città natale.
Fu solo dopo l’editto di Costantino, nel 313, che i cristiani poterono costruire una chiesa per custodire il suo corpo. In seguito gli vennero attribuiti molti miracoli, specie dopo che Giuliano l’apostata (361-363) ebbe ripristinato il paganesimo e le persecuzioni contro i cristiani. Giuliano, poi, morì colpito da una freccia e molti pensarono che fosse stato San Mercurio.
Quando Costante II fu respinto da Benevento e, quindi, costretto ad una fuga precipitosa, abbandonò le reliquie del Santo nella città di Aeclanum. San Prisco, che ne era il custode, rimase nella città romana che dal VI secolo venne denominata Quintodecimo, perché distante 15 miglia da Benevento.
Il luogo ormai non era altro che una “civitas diruta”. Le spoglie di San Mercurio rimasero in Quintodecimo fino a quando il principe Arechi II (758-787) non le traslò in Santa Sofia di Benevento. Nel frattempo, San Prisco, che era stato ben accolto dalla popolazione del posto, rimase anche lui sepolto nei pressi dell’antica città fino al rinvenimento della sua tomba nel 1140.
Intanto, fin dalla prima metà del XII secolo, gli abitanti di Quintodecimo si erano trasferiti ad ‘Aquaputida’ (attuale Mirabella) e dal momento che era stata completata la nuova chiesa di Santa Maria, in quello stesso anno vi fu traslato il corpo di San Prisco.
Al monaco eremita Prisco furono attribuiti segni e prove miracolosi. Si racconta che un giorno un agricoltore, mentre lavorava, vide tre luci uscire dal campo. La notizia fu riportata all’arciprete Alferio di ‘Aquaputida’, il quale, insieme al altri sacerdoti, si recò al luogo indicato. Dopo aver scavato fu effettivamente rinvenuta una pietra scolpita con il nome del beato Prisco, ma del corpo non si trovò traccia.
Dopo alcuni giorni, un prete di nome Marco ebbe in sogno una visione del Santo, che lo invitava a riprendere gli scavi. Ciò fu fatto e, in base ad indicazioni fornite dallo stesso Santo, furono finalmente rinvenute le sacre ossa, che vennero collocate in una vicina cappella.
Del fatto fu informato il vescovo Giovanni di Frigento, che avrebbe voluto traslare le reliquie di San Prisco a Frigento, ma l’arciprete Alferio si rifiutò e proclamò San Prisco “Patrono della Città” in sostituzione di San Emidio, antico protettore del luogo. Il culto del santo prese piede anche per il molti miracoli che gli si attribuirono.
Nei secoli successivi si costituì una confraternita in suo onore. All’inizio del XVIII secolo, dopo le “fatali rovine di un triplice terremoto” (5 giugno 1688, 8 settembre 1694, 14 marzo 1702) che aveva causato il crollo quasi per intero della Chiesa, le spoglie di San Prisco furono messe in un’urna e traslate in un altro luogo della stessa chiesa, in data 16 giugno 1713. La nuova sistemazione rappresentò un atto di fede e di ringraziamento e per l’occasione fu apposta una pietra in marmo recante la scritta: “D.O.M./CORPUS S.PRISCI CONFESSORIS/ IN VETERI CIVITATE QUINTA DECIMA/SUB INNOC.II ET IOANNE FREQ, NO EPISCOPO/DIVINITUS REPERTUM/AQUAPUTIDAE QUAE NUNC MIRABELLA/TRASLATUM/SUB HUIUS ALTARIS CONFESSIONE/TUNC IN URNA RECONDITUM/REQUIESCIT” (Qui riposa il corpo di San Prisco Confessore, rinvenuto con l’aiuto di Dio nell’antica città di Quinto Decimo, sotto il pontificato di Innocenzo II e l’episcopato di Giovanni, vescovo di Frigento, e traslato nella città di Aquaputida, ora denominata Mirabella, fu poi deposto in un’urna sotto la confessione di questo altare).
Purtroppo nel 1732 la chiesa fu distrutta da un altro terremoto (29 novembre), l’urna si frantumò e le ossa furono recuperate tra le macerie e riposte in un’altra urna provvisoria. Nel 1747 le reliquie vennero conservate in una nuova urna, formata da una cassetta di legno nero e posta nel “Cappellone” vicino all’altare maggiore, dove c’era la statua d’argento del Santo. In suo onore era stato commissionato un nuovo busto in argento sbalzato con le braccia aperte e le mani che stringono un libro nella destra e il crocefisso nella sinistra e, tra il 1732 e il 1747, venne anche commissionata una tela raffigurante la “morte di San Prisco”. In questi anni la Congregazione di San Prisco continuò la sua attività diffondendo la devozione tra la popolazione. Purtroppo tra gli anni 1920-30 il culto di San Prisco cadde in disuso.
Le reliquie del Santo si trovano oggi nella Chiesa Santa Maria Maggiore, in una teca di colore nero in una apposita cappella vicino al sarcofago di pietra che reca la seguente iscrizione:”BEATUS PRISCUS HEREMITA/MULTA MIRACULA QUE FECIT AQUAPUTIDAE”. Nella nicchia soprastante è sistemato un antico busto del Santo del XV-XVII sec., in ottone e rame dorato, fuso, sbalzato.
Oggi il Santo viene ricordato con una cerimonia religiosa il 15 aprile e con una commemorazione civile la terza domenica di luglio.

Fabiola Genua


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