“Belli di papà”, un libero remake di una sconosciuta commedia messicana
Un ricchissimo industriale Vincenzo, vedovo, rimasto improvvisamente solo, si rende conto di avere tre figli Matteo, Chiara e Andrea viziati, immaturi e irresponsabili che rappresentano per lui un vero e proprio cruccio.
I ragazzi vivono, infatti, una vita piena di agi, ma senza senso e soprattutto ignari di qualsiasi responsabilità, con una quotidianità leggera, lontana dai doveri e dalla voglia di guadagnarsi la vita.
Nel tentativo di salvarli simula una bancarotta e li porta in “clandestinità” nella natìa Taranto, dove dovranno imparare a guadagnarsi la vita col sudore della fronte, superando nel farlo anche i pregiudizi di cui si sono nutriti fino ad allora. Insomma per sopravvivere, Matteo, Chiara e Andrea dovranno cominciare a fare qualcosa che non hanno mai fatto prima: lavorare.
In “Belli di papà”, c’è un padre che dà una lezione “estrema” ai figli per educarli al valore del lavoro e della vita.
C’è un regista come Guido Chiesa, associato tradizionalmente a un cinema serio e/o impegnato, che ha diretto in passato episodi di ‘Quo vadis, baby?’ ed era interessato da tempo a girare una commedia, c’è il nume tutelare e padre fondatore Diego Abatantuono, naturale capofamiglia per tre ragazzi come Andrea Pisani – dai PanPers a questo film passando per “Fuga di cervelli” -, Matilde Gioli – splendido talento naturale rivelato da “Il capitale umano” – e l’esordiente assoluto Francesco Di Raimondo.
C’è anche Antonio Catania, il miglior jolly del cinema italiano, qua un po’ sacrificato, e, visto che il film è ambientato al Sud, nel tarantino, fanno capolino noti youtuber locali, i Nirkiop, e quell’ottimo attore caratterista e sosia belushiano che è Nicola Nocella, lanciato da un’altra factory, quella di Pupi Avati, con “Il figlio più piccolo”.
Come sta diventando consuetudine di certo cinema italiano a medio budget, anche “Belli di papà” è un libero remake di una sconosciuta commedia, in questo caso messicana.
Il risultato dell’operazione non è disprezzabile, anche se l’impressione è che lo spunto di partenza sia un po’ poco per farne un film che, per quanto rimpolpato con scenette simpatiche e bravi attori di contorno, dà l’impressione di avere molti vuoti. Del resto è difficile approfondire nella durata di una commedia tutti i temi messi in campo, dal rapporto padre/figli a quello Nord/Sud coi relativi – e reciproci – pregiudizi culturali.
Il punto di forza del film è un Diego Abatantuono nella sua vena migliore, quella sospesa tra il sarcastico e il malinconico, che riesce ad arricchire di umanità un personaggio che in altre mani poteva diventare stereotipato.
La differenza di esperienza e la naturale soggezione che i giovani attori sembrano provare nei suoi confronti vanno a favore della plausibilità della storia e appare azzeccata la scelta di Francesco Facchinetti nel ruolo del viscido fidanzato della figlia: la spontaneità e la faccia tosta del personaggio ben si prestano a un ruolo che esaspera in negativo le caratteristiche dell’interprete.
Nell’insieme “Belli di papà” si vede con piacere, soprattutto grazie agli attori, che rendono gradevole e significativa una storia sul rapporto padri/figli che in una società come quella in cui viviamo sembra spesso mancare del tutto, conferendo al film un sincero carattere di fiaba morale.
Daniela Catelli


