La “Via Crucis” vivente eclanese raccontata dall’ideatore Carlo Sirignano
Per ogni eclanese che si rispetti, nel periodo pasquale, l’appuntamento con la “Via Crucis” vivente è immancabile quasi quanto quello con la famigerata “grande tirata” dell’obelisco di paglia di settembre.
La manifestazione, giunta quest’anno alla sua 27esima edizione, dopo sei anni di rappresentazione nel centro storico del paese è stata spostata alla frazione Passo, presso il parco archeologico dell’antica città di ‘Aeclanum’.
Oggi, come molti sapranno, la rappresentazione è organizzata da un gruppo di attivisti locali, in collaborazione con l’Amministrazione comunale di Mirabella Eclano e la Parrocchia “Santa Maria Maggiore”.
Ciò che invece molti, soprattutto tra i più i giovani, non sanno è chi sia stato il capostipite di una manifestazione di questo tipo a Mirabella Eclano nei primi anni ‘70: stiamo parlando del professore Carlo Sirignano.
Proprio per questo noi de “La Fenice” on-line lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare come è nata questa idea. Il professore Sirignano, personaggio eclettico e senza dubbio pieno di inventiva, è arrivato presso la nostra sede con un nutrito fascicolo di foto (alcune delle quali visibili nella gallery dell’articolo), che ci ha mostrato con fierezza e orgoglio; le commentava ad una ad una con lo stesso entusiasmo e fervore che alimentavano quei giorni ormai lontani, dei quali il ricordo è ancora vivido nei suoi occhi scuri… tanto che per qualche istante è sembrato anche a noi di fare un salto nella Mirabella Eclano degli ormai lontani anni ‘70.
Professore Sirignano, lei è stato quello che possiamo definire il capostipite della “Via Crucis” vivente nella nostra Città… ci vuole raccontare come è nata questa idea?
«L’idea di tale manifestazione ha preso forma nel “Circolo degli Universitari” che si trovava allora a via Eclano nel palazzo Ciani, nel quale si incontravano tutti i giovani universitari eclanesi che studiavano a Napoli. Si giocava a carte e si promuovevano azioni e manifestazioni di vario tipo. Riguardo alla ‘Via Crucis’ l’idea nacque da un sentito dire che a Lapio c’erano delle comparse che ripetevano le scene delle stazioni della passione di Cristo con le statue dei ‘Misteri’ in cartapesta, che si portavano in processione il ‘venerdì santo’. Diciamo che ne fui ispirato ed ebbi questa idea di provare a fare un qualcosa del genere anche a Mirabella. Così la proposi ai miei compagni di Circolo, tra cui il dottore Ernani Venuti, Franco Franzese, Gregorio Papaleo, Vincenzo Sirignano, Michelangelo Palermo, i quali fin da subito sposarono questa mia idea. Siamo nel 1969. E nel 1970 prese vita la prima manifestazione della ‘Via Crucis’ vivente in costume. Inizialmente mettemmo in essere una raccolta fondi destinata ai costumi, che andammo ad affittare proprio a Lapio. Siccome lì c’era un teatro avevano in dotazione parecchi costumi e io presi lo stretto necessario.
Nella Chiesa di ‘San Prisco’ stabilimmo la sede per fare le prove. Coinvolgemmo parecchie persone e io feci una scelta di chi poteva recitare. Facemmo le prime prove soltanto con le voci, con testi alla mano presi dal Vangelo. Fu una bella fatica. Per riuscire a far recitare l’attuale Comandante dei Vigili urbani Prisco Addonizio ci volle un po’ di tempo, perché era molto timido: impersonava un soldato semplice e poi lo promuovemmo a fustigatore. Gli attori principali erano circa venti e con la complicità di Michelangelo Palermo e del dottore Venuti riuscii a mettere in essere il tutto».
Quindi una partenza un po’ in sordina si potrebbe dire?
«Assolutamente sì, nessuno sapeva nulla… nelle famiglie si accorsero che stava succedendo qualcosa quando i genitori vedevamo che i figli si facevano crescere la barba e i capelli, tanto che ciò suscitò un diffuso malumore tra i barbieri locali, che non avevano più lavoro considerando che la cosa durò per oltre due mesi, da gennaio fino ai primi di aprile. Non facemmo nessun manifesto né alcun tipo di pubblicità. Le prove le facevamo di notte con orologio alla mano per tempistica, interventi, commenti. Il commentatore ufficiale era Michelangelo Palermo che spiegava ad ogni stazione cosa stava per accadere. La collaborazione è stata attiva e solerte. All’epoca non c’erano le attrezzature di oggi, allora ci dovemmo inventare un sottofondo musicale improvvisato tramite una macchina che aveva Gaetano Assanti, con dei dischi che Cenzino Sirignano si procurò a Napoli che erano di un gruppo canoro che operava nelle chiese. Quindi lungo il percorso si sentiva questo sottofondo musicale che accompagnava la voce del commentatore. Devo dire che la risposta della popolazione in termini di affluenza e partecipazione fu poi straordinaria, mai ci aspettavamo una folla del genere. Man mano che si andava avanti la gente cresceva. Ricordo, quasi con le lacrime agli occhi, che quando stavamo salendo sulla ‘Maddalena’ mi girai e quasi non credevo ai miei occhi tanta era la folla; vedevo così tante persone che sembrava la festa dell’Addolorata. Non ci potevo credere».
Quali tratti del paese furono impegnati nella rappresentazione?
«La mia idea di fondo era quella di coinvolgere tutto il paese. Punto di partenza fu la chiesa di ‘San Prisco’ dove raggruppai tutti gli attori e le comparse intorno alle due e mezza, anche se dal ‘Borgo’ in poi incominciò poi la vera ‘Via Crucis’ vivente. Andavamo poi a toccare via Roma, via Sant’Angelo, dove stanno le case popolari, fino a largo piazzetta Antonio D’Elia (dove c’era l’ex macelleria De Luca). Feci montare, inoltre, tre palchi: uno al ‘Borgo’, uno alla ‘Maddalena’ e uno in piazza per dare maggiore visibilità a più gente possibile. Il primo anno si contavano in tutto circa 60-70 persone, tra attori e comparse, che poi al secondo anno sono aumentate perché la manifestazione era piaciuta e tutti volevano partecipare».
Quali sono state le principali difficoltà che ha incontrato?
«Le difficoltà sono state maggiormente di natura economica piuttosto che organizzative. La difficoltà organizzativa maggiore, che va menzionata, l’abbiamo incontrata con l’allora arciprete don Nicola Gambino, il quale era molto scettico nel fare questa rappresentazione, e pensava più ad una mal riuscita. Per convincerlo a darci il suo lasciapassare ho dovuto scommettere che avrei fatto coincidere tutti gli orari per permettere alla processione del ‘Cristo morto’ di uscire puntuale e, compito ancora più arduo, convincerlo che la cosa fosse assolutamente seria. Lui una sera venne ad assistere alle prove e vide che c’era effettivamente la motivazione e la serietà, così si ricredette. Proprio perché la manifestazione sarebbe stata piuttosto lunga partimmo nel primo pomeriggio, intorno alle 14.30. Il problema principale erano i fondi che mancavano. Io in realtà riuscii a raccogliere appena 5mila lire, nemmeno il necessario per l’affitto dei costumi a Lapio, come ho già accennato. Per ritirare i costumi dovetti lasciare 20mila lire di cauzione come garanzia per eventuali danni. La questione era che nessuno contribuiva, tantomeno l’Amministrazione comunale dell’epoca che, anzi, si dimostrò abbastanza indifferente verso questa mia idea; eccezion fatta per il dottore Saverio Russo che incaricò Saverio D’Ambrosio di darmi 50mila lire come contributo. Un’altra menzione devo farla a Francesco Sorrentino che si mise a disposizione e si prodigò per costruirmi le croci, scelse il miglior legno, quello di castagno, e le donò a titolo gratuito per la sua profonda devozione alla madonna. Ad ogni modo, dato il grande successo riscosso alla prima edizione, al secondo anno, nel 1971, mi venne l’idea di migliorare il tutto, tanto che andai personalmente a Roma a Cinecittà a recuperare i costumi con la mia auto ‘125’ e sfortuna volle che fusi il motore sull’autostrada… altre spese a cui far fronte! In più il secondo anno prendemmo anche i cavalli, guidati dai fratelli Paolino e Vittorio Tammaro.
Al terzo anno, i costumi li avevo fatti tutti io: elmi, scudi, lance… tutto. Ma storia degli elmi è particolare… siccome avevo saputo che ad Ottaviano c’erano coloro che costruivano pentolame di rame, mi recai lì per vedere se erano in grado di fare degli elmi, appunto. Uno di questi fabbricanti mi chiese cosa mi servisse, quando io risposi «degli elmi» lui, quasi sbalordito, mi disse «è na parola, accussì le facimmo», e io prontamente ribattei «tu lo sai costruire un vaso da notte?» e lui ripose «eccome no, noi ne facciamo tanti» allora si mise sotto il tornio e forgiò esattamente un vaso da notte. Me ne feci fare 10. Su questo cilindro col gesso bianco feci un disegno sopra e lo feci ritagliare secondo quella forma dopodiché glielo misi in testa… ecco fatto l’elmo. Il fabbricante, meravigliato per ciò che lui stesso aveva contribuito a creare, esclamò «Maronna e che ato fatto!». Poi venni a Mirabella e con gli spolverini, esattamente quelli che le signore usavano per spolverare, tutti colorati, feci i pennacchi per gli elmi. Oltre alle corazze di cuoio, fatte a scaglie una per una per i centurioni, mi occupai di tutti i costumi».
Quali sono i momenti che ricorda con maggiore piacere?
«Ah beh, ce ne sarebbero tantissimi. Il primo che mi viene in mente, e che, ripensandoci, ha veramente dell’incredibile, riguarda la scena dell’ultima cena: quella sera c’era un tempaccio, faceva molto freddo, nel momento dell’eucaristia, e questo non lo dimenticherò mai, quando il Cristo (interpretato da Mario Scala) alzò il pane il cielo era grigio e nuvoloso, ma proprio in quel momento si aprì un buco nelle nuvole dal quale uscì un raggio di sole che andò a centrare proprio Gesù. Una scena da pelle d’oca, anche perché subito dopo il cielo si chiuse di nuovo. Questa fu un emozione grande per me. Un altro episodio che voglio raccontare riguarda una delle ultime scene, quella che precede la deposizione. Dove è ubicata ora la farmacia De Toma feci montare un cinematografo per creare l’effetto di un ‘occhio di bue’ che andasse a puntare direttamente sulla scena, che si svolgeva in piazza. In sottofondo c’erano degli effetti sonori ottenuti con una lamiera ondulante percossa con due stecche da biliardo accompagnato dal suono di un grosso tamburo che preannunciavano il lampo. Nel frattempo avevo incaricato tutti i fotografi dell’epoca di fare l’effetto del lampo con i flash delle loro macchinette nel momento in cui l’elettricista, col quale ero d’accordo, avrebbe dovuto staccare la corrente elettrica al paese. Descriverlo a parole è complesso ma, credetemi, questo effetto di lampate con il sottofondo sonoro, accompagnati dall’occhio di bue che illuminava il “trio”, fu straordinario: fu un qualcosa di incredibile, tanto che don Nicola Gambino e il capitano dei carabinieri si inginocchiarono dinanzi alla scena».
Come mai poi, dopo 4 anni, nel 1974, decise di interrompere tutto?
«A partire dal 1974 ho deciso di interrompere tutto, c’erano stati dei boicottatori. Era diventato un fatto commerciale. Infatti, come ho già accennato prima, la mia proposta era di spostare le ‘stazioni’ della rappresentazione verso altri punti per coinvolgere altre parti del paese, al che ci furono alcuni malumori soprattutto fra i commercianti, che volevano attribuire al tutto un carattere meramente speculativo. Insomma, ognuno voleva tirare l’acqua al suo mulino. Allora dissi “io non la farò mai più!”. E da allora la rappresentazione della ‘Via Crucis’ vivente è stata ferma 5 o 6 anni, fino al post-terremoto dell’80. Ad essere sincero, quando seppi che l’avevano ricominciata senza avermi interpellato la presi un po’ a malincuore».
Avrebbe qualche consiglio per gli attuali organizzatori?
«Io dal 1974 ad oggi non ho né partecipato né visto niente delle Vie Crucis a seguire, mi sono disinteressato totalmente perché ho visto che c’è un mercimonio intorno, un grosso interesse economico che io schifo! Perché se deve nascere qualcosa deve nascere spontaneamente e in modo disinteressato per le persone che hanno realmente voglia di fare. Certamente per me è stato un onore veder continuare una cosa a cui io stesso avevo dato vita. Ora che sia fatta bene, sia fatta male…».
Professore Sirignano, cosa pensa del fatto che attualmente questa manifestazione, da lei studiata per il centro storico del paese, si svolga al Passo di Mirabella presso il parco archeologico di ‘Aeclanum’?
«Per me questa manifestazione andrebbe mantenuta nel centro storico per il quale è stata concepita… io ci tengo alla realtà, ahimè ormai scomparsa, di questo paese e credo che sia giusto tenere in vita attraverso queste manifestazioni “tradizionali” la conservazione dei beni e delle tradizioni radicate in una Comunità… cioè se ci viene a mancare pure questo sarebbe veramente la fine! Però, ripeto, per me la ‘Via Crucis’ andava mantenuta nel centro storico… tant’è che dissi all’ex sindaco Vincenzo Sirignano “…visto che hai svuotato Mirabella per creare una nuova metropoli commerciale al Passo, tanto vale che facciate lì pure la via Crucis!…” e detto fatto! Non voglio fare polemica, lo dico in senso ironico… a questo punto mettiamo tre cancelli: uno a Calore, uno a Pianopantano, uno a Mirabella e montiamoci sopra un cartello con scritto “Cimitero Europeo”».
Fabiola Genua