Il “carbonaro” eclanese Alessio Cerrati al servizio delle nuove idee liberali
Discendente da un’antica e facoltosa famiglia originaria di Campomanfoli, frazione di Castel San Giorgio, in provincia di Principato Citeriore (attuale cittadina di Salerno), Alessio Cerrati visse in uno dei periodi più avvincenti del XIX secolo, quello che vide l’Italia e l’Europa percorse da rivolgimenti insurrezionali e cambiamenti politico-economici di considerevole importanza.
Il respiro rivoluzionario, che nei primi decenni dell’800 si diffondeva nel Regno delle Due Sicilie, specialmente nel napoletano, fu avvertito naturalmente anche in Irpinia, da dove partirono i moti carbonari del 1820-21.
Anche a Mirabella la ‘setta dei carbonari’ ebbe molti adepti, guidati dall’abate Giuseppe Saverio Cappuccio ed Alessio Cerrati fu uno di questi.
Figlio secondogenito del possidente Don Francesco e di Donna Caterina Ziccardi, era nato a Mirabella Eclano il 3 marzo 1796. Rimasto orfano all’età di cinque anni, fu affidato alla tutela dello zio, il canonico don Luigi Cerrati (1760-1842), inizialmente primicerio minore e poi primicerio maggiore della Chiesa collegiale Santa Maria Maggiore di Mirabella.
Dallo zio ricevette un’educazione improntata al rispetto della famiglia e della tradizione. Dopo aver frequentato le scuole primarie del paese, fu avviato agli studi liceali presso il seminario di Avellino. Lo zio nutriva tuttavia la segreta speranza di avviarlo alla carriera ecclesiastica. Alessio , però, non ancora ventenne, conobbe la bella Imperatrice Vesce (detta Beatrice), appartenente ad una signorile e distinta famiglia di Piscero di Pietradefusi, e se ne innamorò.
Nel frattempo, uscito dagli studi clericali, si era convertito alle idee di democrazia e di libertà, influenzato dalle correnti illuministiche e dalle direttrici dell’abate liberale Cappuccio. Per questo, insieme a molti altri giovani, si era iscritto alla locale vendita gettandosi generosamente nella mischia alla prima occasione.
Alla sua formazione liberale contribuì, con molta probabilità, anche la frequentazione di casa Vesce, in quanto quella famiglia, durante il periodo della dominazione francese, era stata filo-giacobina e filo-napoleonica e perciò antiborbonica.
Nel 1817 aveva infatti sposato la giovane Beatrice portandola a Mirabella. Nei primi anni di matrimonio i due vissero nella casa paterna di via Maddalena, ma dopo qualche tempo il giovane Alessio acquistò il palazzo sito al largo Piano di Mirabella (attuale piazza Vittoria) dagli ultimi eredi della nobile famiglia Zampera, oggi scomparsa, dove si trasferì con la famiglia.
Lo scoppio dei moti del luglio 1820 si rivela, quindi, per il giovane Cerrati l’occasione per inserirsi nello scontro e dimostrare quanto avesse a cuore le sorti della propria terra. Neppure la moglie riuscì a farlo desistere dai suoi propositi rivoluzionari.
Giovane di animo irrequieto e desideroso del nuovo, era aperto e pronto alla battuta in ogni discussione. Benché cresciuto in una famiglia di fede borbonica, ben presto si era rivelato di ingegno versatile ed aperto che aveva messo al servizio delle nuove idee liberali, di cui non faceva mistero.
Nella sua azione cospiratrice conobbe l’inseparabile amico eclanese Leonardo Penta.
Il 23 marzo 1821 le truppe austriache erano entrate in Napoli e nei giorni successivi avevano occupato anche Avellino ed altri centri del Principato Ultra, vanificando ogni sforzo dei rivoluzionari che, inutilmente, avevano tentato di difendere le idee di libertà, di democrazia e di progresso.
Dopo la restaurazione borbonica, che annullava di fatto la Costituzione, vi furono arresti, condanne e persecuzioni. Molti cospiratori dovettero darsi alla macchia o trovare scampo nella fuga fuori dal Regno. Alla repressione non sfuggì nemmeno Alessio Cerrati, costretto insieme al Penta, a sette anni di esilio.
I due cercarono pertanto di raggiungere l’isola di Corfù, luogo di rifugio privilegiato di molti fuoriusciti. In quel periodo per dimorare sull’isola occorreva versare al governo inglese, essendo il luogo un protettorato britannico, la somma di 200 colonnati di Spagna o quanto meno avere “la garanzia di pubblico negoziante o di persona facoltosa”.
Questa clausola, nelle intenzioni del governo di Sua Maestà, doveva servire a frenare l’immigrazione, che in quel periodo era alquanto consistente. A Corfù Cerrati e Penta non arrivarono mai, non rientrando in alcuna delle condizioni imposte.
Infatti vennero prontamente respinti dalla autorità locali inglesi. I due ripresero la rotta per Brindisi, ma durante la traversata l’imbarcazione per una improvvisa burrasca si trovò a rischio di naufragio (fu allora, come raccontano le cronache familiari, che Alessio rivolse preghiera a San Francesco di Paola, protettore dei naviganti, facendo voto, nel caso di salvezza, di chiamare il primo figlio che sarebbe nato con il nome Francesco Paolo. Il mare si calmò e Alessio ebbe salva la vita. In seguito, Alessio dimenticò la promessa fatta e, nel 1832, al primo figlio, nato dopo l’esilio, impose il nome di Luigi. Il bambino morì il 2 aprile, giorno dedicato a San Francesco di Paola, dell’anno 1833. Il 26 luglio successivo in casa Cerrati nasceva un altro maschio e questa volta Alessio mantenne fede all’impegno chiamandolo Francesco Paolo. Quest’ultimo poi diventò medico e per due volte fu eletto sindaco di Mirabella Eclano).
Per non correre altri rischi, i due carbonari mirabellani decisero dunque di sbarcare a Barletta, dove vennero immediatamente arrestati dalla polizia borbonica. Rinchiusi nelle prigioni del posto, riuscirono ad evadere la notte del 22 aprile 1823. Furono ripresi dopo pochi giorni e imprigionati nuovamente.
Dopo circa un anno di galera, la Gran Corte Criminale sentenziò che fossero inviati in esilio e così, il 31 agosto del 1824, vennero imbarcati su una nave sarda diretta a Tunisi. Inizialmente i due esuli eclanesi, dovendo scontare una pena di sette anni, vennero esclusi dal sussidio e ciò gravò non poco sui bilanci familiari di entrambi.
Solo in seguito venne imposto al Console del governo borbonico di sovvenzionare i due così come avveniva per gli altri, pena l’immediato allontanamento. L’esperienza dell’esilio fu durissima. I fuoriusciti non solo erano sottoposti ad una sorveglianza continua perché ritenuti soggetti pericolosi, ma anche marginalizzati e rifiutati e perciò costretti spesso a chiedere, come mendicanti, un soccorso pecuniario per la loro sussistenza.
Vivere una condizione così estrema raffreddò notevolmente gli entusiasmi dei due mirabellani, affievolendone i sentimenti patriottici. Per Alessio Cerrati il ricordo della sconfitta patita, il pensiero dei giovani compagni caduti inseguendo un ideale, il distacco dalla famiglia, le misere condizioni economiche, la stanchezza dell’esilio, la solitudine e la mancanza di dibattito culturale dovettero gettarlo in un profondo sconforto facendogli perdere la vivacità e l’entusiasmo manifestati in età giovanile.
Questo stato di prostrazione e il desiderio di ricongiungersi agli affetti lasciati, soprattutto alla moglie Imperatrice, fiaccarono la passione politica e i sentimenti che avevano infiammato il suo cuore.
Infatti, insieme all’amico Penta e ad altri esuli, cominciò ad invocare clemenza. Una supplica venne rivolta al Re Francesco I in occasione dell’indulto del 13 agosto 1827, concesso per il parto della regina, ma la petizione non ebbe gli effetti sperati. I due continuarono il soggiorno forzato a Tunisi per altri due anni.
Con l’avvento al trono di Ferdinando II, dopo la morte del padre Francesco I di Borbone avvenuta l’8 novembre 1830, fu promulgata dal nuovo Re, il 18 dicembre 1830, un’amnistia per solennizzare l’avvenimento. Questa volta i due amici poterono rientrare in patria. Il rientro avvenne nel marzo del 1831, a bordo della goletta “Leonilde”, noleggiata a spese delle famiglie Cerrati e Penta, con grossi sacrifici.
Una volta rientrato a Mirabella, Alessio Cerrati cessò ogni attività rivoluzionaria adottando una posizione più moderata, ma mai reticente, dopo essersi reso conto che di fatto, la reazione borbonica in quegli anni gli aveva effettuato molte epurazioni e annullato ogni libertà.
Nel 1847 sposò in seconde nozze Raffaella Cecilia Cappuccio, nipote del canonico e carbonaro Giuseppe Saverio, di cui era stato un fervente e fedele seguace. In seguito i Cerrati furono costretti a vendere il palazzo di famiglia per i sopraggiunti problemi economici. Alessio Cerrati morì a Mirabella il 25 agosto 1870.
Del suo esilio tunisino Alessio, come ricorda il pronipote Alfonso Cerrati, «ha tramandato ai suoi eredi una ricetta culinaria che aveva imparato a Tunisi e che ancora oggi viene cucinata dai Cerrati a Mirabella, ogni vigilia di Natale. È la così detta “Jotta”, a base di pesce e verdura».
La vicenda storica di Alessio Cerrati, al di là dei mutamenti imposti dai fatti, oltre che dagli anni, fa ben capire, più di tante interpretazioni e cronache storiche, che l’Unità si è realizzata non solo per i grandi patrioti, ma anche per i tanti carbonari ignoti, per i tanti giovani come Alessio, che conservarono comunque l’animo integro e che spesso sono stati ignorati dagli annali della storia.
(Si ringrazia il periodico “Vicum” – anno XXV, n°.4 dicembre 2007 – per le notizie storiografiche)
Fabiola Genua