Leopardi, il giovane favoloso alla ricerca del vero

Foto Rubrica Cinema
«Così ho pensato di andare verso la grotta, in fondo alla quale, in un paese di luce, dorme, da cento anni, il giovane favoloso».

Favoloso. Leopardi era così: favoloso! Favoloso, non solo nel modo di scrivere, ma anche nel disagio, nel bisogno d’amore, nelle fissazioni, nell’ironia, nell’immaginazione, nei timori. Il regista Mario Martone, sulle orme del pensiero sopra citato, tratto dal libro ‘Da Moby Dick all’Orsa Bianca’ di Anna Maria Ortese (la scrittrice romana aveva così scritto dopo essersi recata al sepolcro di Giacomo Leopardi), ne offre uno spaccato nuovo, lontano dai noiosi concetti scolastici.
Il Leopardi interpretato da Elio Germano è un’immagine che va oltre le biografie. Ciò non vuol dire che non sia un film didattico (è di certo una pellicola da far vedere agli studenti), ma presenta il lato umano di uno degli autori italiani più famosi nel mondo, secondo solo a Dante Alighieri.
Il film ne ripercorre la vita, dai giochi in giardino con i fratelli Carlo e Paolina (il fratello minore, Pierfrancesco, stranamente non è mai citato), fino agli anni napoletani, passando per la fuga da Recanati e il soggiorno a Firenze con l’amico esule Antonio Ranieri.
Leopardi è un bambino prodigio, ben presto supera i suoi precettori e studia da autodidatta. Tuttavia, crescendo, dovrà fare i conti con un’interiorità imprigionata tra le mura di casa e sotterrata dal peso dei libri.
Lo studio è la sua croce e la sua delizia, lo rende speciale, ma inquietante e spesso buffo agli occhi dei compaesani recanatesi; gli rivela la bellezza dell’amore, ma gli impedisce di condividerlo; gli permettere di conoscere il mondo e di scoprirne la natura maligna e meccanicistica, tanto egoista da ignorare l’uomo.
Ma davvero Leopardi ha scritto quel che ha scritto per i suoi crucci fisici e mentali? Davvero uno degli autori più geniali della storia, ha concepito le sue teorie perché tormentato da un male interiore?
Forse conoscenza e sofferenza vanno a braccetto, e Leopardi è caduto nella trappola. Eppure, il Leopardi di Martone e Germano, non sembra poi così pessimista. Spesso ride dei suoi acciacchi e sposta l’attenzione sulle sue smanie (si percepisce bene dal film, infatti, che Giacomo mangia sempre confettini e gelati al limone; poco salutare, invece, è la sua mania di non lavarsi e di indossare sempre la stessa giacca, sintomo di un rifiuto nel vedere il proprio corpo).
Certo è che molte situazioni gli si rivolgono contro: Leopardi non è un autore da 800, quell’epoca gli sta stretta. L’influenza dei moti carbonari, della reazione alla Rivoluzione francese e della diffusione dei concetti illuministi, non lo aiuta certo a propagandare la sua idea volta alla ricerca del vero, anti-positivista e anti-progressista. Non sarà capito, e soltanto il 900 gli darà il giusto merito.
Il suo ateismo, poi, lo costringe a un rapporto conflittuale con il padre Monaldo e la madre Adelaide, bigotta e anaffettiva. Per sottolineare l’arretratezza e l’egoismo di quest’ultima, Mario Martone utilizza il viso e le fattezze della donna per personificare la Natura, nella scena in cui Giacomo scrive il Dialogo della Natura e di un Islandese, famoso brano delle Operette Morali. E’ anche dai genitori che Leopardi scapperà, invogliato da Pietro Giordani, quello che oggi si potrebbe considerare un penfriend, un amico di penna (all’epoca, si trattava di corrispondenza epistolare).
Al cambio di scena, Recanati è già lontana. Il regista napoletano, per chissà quale motivo, ha deciso di saltare ben dieci anni della vita leopardiana. Si tratta degli anni degli spostamenti di città in città: da Recanati a Roma (città per lui frivola e poco ospitale), poi Milano, Bologna (dove s’innamora di Teresa Carniani Malvezzi, uno dei suoi tanti amori non corrisposti), Firenze e infine Pisa.
La pellicola si sofferma sul soggiorno fiorentino, dove Giacomo viene additato come scrittore pessimista e non degno di fama. Poi Napoli, la città che forse più lo avvicina agli altri. Leopardi non sopporta l’eccessivo spiritualismo dei cittadini partenopei, ma non si allontana dalla città.
Solo la diffusione del colera lo costringe a soggiornare, col fedele amico Ranieri, tra Torre Annunziata a Torre del Greco (luogo, tra l’altro, dove scrisse La Ginestra). Il Leopardi della seconda parte del film, è un uomo piegato da un corpo turpe e da una vista pessima. Ai dolori del corpo, si aggiungono quelli dell’animo, dovuti alla mancanza d’amore. Significativa, quanto umiliante, è la scena del bordello, che Giacomo raggiunge su consiglio dell’amico Ranieri.
Qui Leopardi, viene deriso e rifiutato da ogni prostituta. Solo una lo invita a distendersi sul suo letto, ma non si tratta di una donna, bensì di un trans. Non sappiamo se l’episodio sia realmente accaduto: molti scrittori, nel tempo, hanno speculato sull’immagine del poeta, per farne trasparire elementi anomali e avventurosi.
Tuttavia, sembra essere un’offesa un po’ gratuita, che è stata ripresa da molti critici, perché una delle tante scene in cui Giacomo sembra essere presentato come omosessuale. Le altre scene incriminate sono quelle del bagno di Antonio Ranieri, cui Giacomo assiste, soffermandosi sulle nudità dell’uomo (ma, probabilmente, è un altro elemento da cui dedurre un personale conflitto con la propria nudità); o anche i lunghi abbracci con l’amico, gli incontri con un giovane napoletano, le piacevoli passeggiate a piedi nudi e i giochi con Ranieri. Agli occhi di chi non vuole scorgere malizia nel film, si tratta di sterili forzature, che in realtà avrebbero dovuto rimarcare la mancanza d’amore costantemente sentita dal poeta.
E’ difficile non amare un Leopardi così umanamente debole e vicino alle peripezie di ogni animo umano. È difficile non commuoversi nelle scene in cui l’attore Elio Germano recita, a bassa voce, quasi come se nascessero piano, le poesie di Giacomo (una su tutte, quella de La Ginestra, decantata come commiato difronte ad una Napoli buia e a Vesuvio spento).
E’ difficile anche non sentirsi parte di quelle Operette Morali, tanto pungenti quanto attuali, che nel film sembrano sogni.
E’ difficile, infine, non rendersi conto che Leopardi, nel suo atteggiamento disfattista, ha aperto all’umanità una nuova finestra da cui osservare. Esiste ora un mondo nuovo in cui il vero non è arido, bensì macchiato da un’illusione che muove gli animi ad un percorso di auto-perfezionamento.
«Ah, signora! Quella che lei crede una gobba, è l’astuccio delle mie ali», Giacomo Leopardi.

Irene De Dominicis


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