Una pietra superstite: lo stemma di San Francesco
Per la sua qualità immaginativa un’opera d’arte, anche se piccola e poco conosciuta, concorre a formare l’asse portante di una Comunità. Ne costituisce anzi l’espressione più alta perché rende viventi e concrete le costumanze, le leggi e i riti all’interno del gruppo nel quale si originò.
Attraverso l’elaborazione artistica di simboli scolpiti o incisi nella dura pietra è possibile penetrare negli atteggiamenti fondamentali di intere epoche e di passate civiltà. L’arte inoltre assolve la funzione suprema di costituire l’elemento fondamentale di comunicazione e di unificazione tra gli uomini. Essa rappresenta l’idioma universale che si esprime in una moltitudine di forme reciprocamente intelligibili, molto più della stessa lingua parlata. Anche le persone non alfabetizzate comprendono il suo linguaggio ecumenico.
Decisamente più importante diventa l’oggetto d’arte quando assomma in sé anche il valore della fede. Il discorso vale soprattutto per lo stemma francescano di Mirabella che al valore religioso unisce quello estetico e nell’insieme può ben essere avvicinato al più famoso Cristo normanno.
Realizzato da un valente artigiano locale nel corso del sedicesimo secolo e più volte duplicato, questo stemma ha assunto nel tempo straordinaria importanza sia come oggetto di culto che come opera d’arte.
La sua pregnanza religiosa e la vigilanza dei fedeli lo hanno sottratto alla rapacità del solito collezionista di pietre lavorate, impegnato da sempre ad impadronirsi con ogni mezzo di questi piccoli capolavori.
L’atto intenzionale e cosciente di un artista sconosciuto ha trasformato la pietra grezza in un oggetto carico di significati religiosi, civili, etici ed estetici.
Lo stemma francescano, che appare scolpito sull’architrave del portale della chiesa dedicata al Santo oltre che su numerosi altri portali e su pietre singole, è di certo quello con il quale gli eclanesi hanno maggiormente familiarizzato nel corso dei secoli. La sua lettura è semplice ed immediata proprio come semplice ed immediato risulta il messaggio che se ne deduce osservandolo: due braccia che si incontrano all’ombra della Croce in segno di fratellanza e solidarietà. Aggiungere altre parole è del tutto superfluo perché – come recita il Vangelo – “tutto quello che è in più appartiene al male!”
Accanto allo stemma superstite di San Francesco ci piace ricordare quello della fenice, che appare rappresentato sul frontespizio del Municipio, in alcune chiese e sui portali dei palazzi gentilizi del Centro storico e che gli artisti della paglia intrecciata hanno costruito e collocato sulla facciata principale del Carro.
Non dobbiamo tuttavia dimenticare che continuano ad essere parte della storia e della cultura della nostra città numerosi altri piccoli capolavori di pietra lavorata. Si tratta di una lunga lista di lavori in pietra ai quali cittadini non blasonati hanno attribuito il valore di stemma, come simbolo di una condizione sociale che potremmo definire borghese. Molti di essi non fanno più parte del nostro patrimonio cittadino essendo stati letteralmente trafugati; proprio come è avvenuto per le tante lapidi epigrafi di Eclano e di Ponterotto, che fanno bella mostra di sé nei musei e nelle collezioni private d’Inghilterra, di Francia e di Germania.
Non dobbiamo meravigliarci quindi se, in giro per l’Italia o scrutando in qualche locale nascosto ci imbattiamo in qualcuno di questi oggetti scomparsi.
Si tratta di oggetti di varia fattura elaborati in epoche diverse i cui simboli ci risultano comunque familiari. Stemmi con una o più stelle sullo scudo, feritoie di vecchi casolari, ornie di finestre quadrate o tondeggianti, rinascimentali bifore e trifore di pregevole fattura, medioevali vasche per la conservazione dell’olio, frantoi dismessi e ruote di mulini abbandonati, abbeveratoi di diversa dimensione, frontoni di cisterne e di fontane pubbliche, gradoni e colonne di antichi porticati urbani e rurali.
Tutto questo materiale, sicuramente rappresentativo della condizione sociale, economica e culturale della Comunità che lo ha prodotto nei diversi periodi storici, oltre ad esprimere un’esigenza di ordine pratico, rappresenta in modo compiuto l’universale aspirazione al bello che ha sempre contraddistinto gli eclanesi di tutte le epoche.
Il problema di restituire un posto organico a questi piccoli capolavori equivale a quello di riorganizzare la nostra eredità del passato e le nostre conoscenze attuali in una unione immaginativa assolutamente coerente. Siamo consapevoli infatti che in questi oggetti finiti del mondo reale dorme la sua eterna infinitudine la storia della nostra travagliata Comunità.
Edmondo Pugliese