«I am, I am, I am»: il grido di speranza delle donne
Quando parliamo di una donna, del suo desiderio innato e convulso di stabilire attraverso la propria “affermatività”, il giusto equilibrio che le dia modo di sentirsi parte integrante dell’universo, non dobbiamo dimenticare che ancora oggi, malgrado molte conquiste, esistono realtà femminili nelle quali permane il peso di un ruolo, ancora sfacciatamente marginale, affidato da un remoto malcostume all’interno della società.
Tracimati, da fiumi di amarezze e sofferenze, gli anni delle lotte, che hanno visto la maggior parte delle donne conquistarsi l’emancipazione e il diritto ad esprimersi, in maniera libera e autonoma, negli stratificati ambiti economico/culturali della società, la fatica di molte di esse consiste ancora oggi, nel mantenere viva la forza e la fiducia, che prima o poi, qualcosa, in questo minuscolo angolo di mondo, possa cambiare davvero, che la parità agognata, per troppo tempo mendicata, non si riduca a un colabrodo di leggi inconsistenti, sottoscritte dall’uomo; che la parte più vera dell’essere donna, quella delicata, caparbia e complessa radice che la contraddistingue dalla superiorità ingombrante dell’uomo, possa staccarsi in maniera naturale dall’albero delle privazioni e delle incombenze subite nel corso della storia, dando una chiave di lettura più profonda della “guerra di Troia”…
Riconosciuto, ma non abbastanza apprezzato il dono di una donna di generare la vita, ella avverte di sfiorare il limite subitaneo della perfezione, attraverso la maternità; si erge a madre, moglie, padrona assoluta della vita domestica, tatuando sulla propria pelle le responsabilità a lungo termine, date dai figli.
Partorisce un progetto, con coscienza e giudizio, affidatele dalla sua stessa natura, ripone costantemente il suo mattone di protezione per la costruzione di un arco: dopo aver ottenuto uno scarso secondo posto, persino nel più antico libro delle scritture, con tanto di sciagure e dolori al seguito. Ma la vera sciagura è credere che quel ruolo passivo, cucitoci perfettamente addosso dai vari modelli culturali, valga più della realizzazione di noi stesse!
Ignare, per anni, le donne hanno gettato l’amo della libertà intellettuale e dell’indipendenza economica, in un mare torbido, appartenente a quella razza di uomo dal “cuoraccio nero”: quello pieno di sé, irremovibilmente convinto della sacralità delle proprie idee, bovarista, schiavo del suo stesso smisurato ego, che raggiunge l’apoteosi del piacere molto spesso attraverso il possesso e le vergognose forme di violenza fisica e psicologica.
Come se non bastasse, smaltito l’effetto di quell’elisir di giovinezza, di cui il tempo ci fa concessione, quando cioè anche la bellezza perde il suo smalto, divenendo il nemico numero uno di una donna (candidato fuori concorso alla fiera dell’esistenza), sopraggiunge quel senso di inadeguatezza e smarrimento, e invidiamo la vita delle stelle, di quei corpi celesti che accendono la notte senza mai sentirsi “vecchie”.
Se anche noi radiose, solidali e a volte cadenti, come le stelle, ci affidassimo di più a noi stesse, alle nostre esperienze di vita, graffi nell’anima inclusi, capiremmo bene che non basta assurgere ad icone delle campagne di sensibilizzazione in favore dei nostri diritti, incollate in piazze o all’angolo delle strade, per essere libere dai limiti che la società ci impone, compiaciute dal fatto di essere state scelte (ancora una volta) per pareggiare i conti con l’uomo sul piano politico.
La svolta per noi donne è comprendere il valore assoluto che può assumere la vita attraverso le nostre scelte, siano esse anche doverose.
Mi auguro che un giorno potremo curare da sole le numerose ferite, inflitte da una cultura fiera, ad esclusivo appannaggio dell’uomo, dando semplicemente ascolto agli imperativi dettati dalle più profonde voci che ci abitano dentro: saranno esse la svolta di secoli di non appartenenza alla vita nella sue forme più alte di espressività.
C’è soltanto un ostacolo da superare, il tempo.
“Datele altri cento anni… e una stanza tutta per sé”.
Da quel luogo di coscienza, malamente sigillato, ci affacceremo al mondo per cancellare le cicatrici di parole e di atti indegni, che siamo ancora costrette a portarci addosso.
Arriverà il momento in cui sarà sempre il giorno delle donne!
Affido la mia speranza, affinché tutte facciano della propria vita, istanza di diritto all’enunciazione di se stesse (“I am, I am, I am”), anche quando sembra impossibile, anche quando, il rosso carminio delle città di notte, sembra accoglierci, stanche, dalle fatiche del giorno.
Anna Esposito


