Il Natale, la festa delle tradizioni ormai scomparse
E’ il lontano 25 dicembre del 1931 quando al teatro Kursaal di Napoli, va in scena una delle opere migliori del grande artista Edoardo De Filippo, “Natale in casa Cupiello”: una commedia che, a distanza di oltre ottanta anni, rappresenta tutt’ora una metafora di vita che ci aiuta a riflettere non solo sul significato del Natale ma su una serie di valori che poco alla volta sbiadiscono fino a diventare impercettibili.
Attraverso la costruzione del mitico presepe, l’artista vuole riprodurre il tentativo, apparentemente poco maturo, di restare a galla in un mondo in cui tutto è il contrario di tutto e dove la realtà sfugge, in cui la sua famiglia è sull’orlo della distruzione, mentre lui ancora continua a rifugiarsi, con gli occhi e con il cuore di un bambino, in un’altra realtà che racchiude in sé l’ideale della famiglia.
Il suo personaggio tiene Luca Cupiello legato ad un filo magico che gli impedisce di vedere il confine di separazione tra sogno e realtà, è ciò lo distingue dagli altri, da coloro che invece ai sogni non vogliono credere o semplicemente non credono più. Tutto questo legato alla domanda che per gran parte dell’ opera egli rivolgerà al figlio ingrato: «Te piace o’ Presepe?» – per cercare nella risposta positiva del figlio, una sorta di approvazione e appagamento delle proprie aspirazioni.
Il presepe rappresenta il mito della famiglia unita, affiatata, non toccata dai mali esterni ed è un’occasione di fuga dai problemi quotidiani della vita. Egli pensa al Natale come opportunità di riunire la famiglia che però già non esiste più, (anche se lui non riesce a vederlo) è disgregata al suo interno, mentre lui vive il suo sogno.
In questa visione il Natale appare come qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa che ancora ci permette di sognare, seppur per pochi giorni, un mondo migliore. E’ forse solo un’illusione, sicuramente uno stato d’animo e non uno slogan affisso sui muri delle nostre città, sotto forma di freddi inviti alla ricerca spasmodica di qualcosa di estremamente superficiale: come se regali, acquisti o viaggi potessero in qualche mondo ridarci il bianco candore dei valori ormai perduti.
Natale vuol dire nascita: è portare in vita un nuova emozione e farla crescere e tramandarla ai nostri cari; è qualcosa di esterno al mondo che ci circonda; è come un’oasi serena in cui, brevemente, approdare; è uno spaccato di vita contrapposto a quello che, seppur sepolto per pochi giorni sotto le ceneri di camini accesi, arde inesorabilmente attendendoci al varco, immediatamente dopo.
Forse in questo momento di difficoltà estrema, dove la società non raccoglie più le mille sfumature dell’essere sociale, dove non esistono limbi, posti intermedi o posizioni più o meno agiate, ma si appartiene solo all’estremità di qualsiasi cosa, si è ricchi o poveri, buoni o cattivi, sani o malati e dove nonostante le diversità, indipendentemente al cosmo cui si appartiene, c’è in mezzo il tempo che scorre velocemente e che non è certamente a favore di giorni speciali come il Natale, che possano spostare per un attimo l’attenzione dalla lunga e dura gara che ognuno si trova ad affrontare .
Allora cercare una metafora che ci avvicini con il cuore a questa festa è sempre più difficile, soprattutto anche quando le nostre care e “vecchie” tradizioni cominciano a perdersi nell’oceano dell’indifferenza.
Ricordare con nostalgia la fiera della Candelora che per il nostro paese era motivo di legame con il Natale, non basta, specie se si continuano a decentrare tutte le attività socio-culturali fuori dal centro storico, anch’esso primo motivo di unione e legame tra i cittadini eclanesi.
Riportare in vita opere teatrali come accadeva un tempo, grazie alla passione di persone che amavano stare insieme per ritrovare lo spirito natalizio, sarebbe solo uno dei tanti modi per cercare un simbolo, un motivo che ci ricordi cosa sia davvero il Natale.
Il quadro della nostra realtà ci parla di crisi, distruzione, degrado, povertà morale, corsa al denaro, poca predisposizione agli altri, alla Tv poi vengono trasmesse continuamente immagini di tragedie umane, disastri naturali, di omicidi familiari che sono ormai diventati una sorta di sponsorizzazione e di manipolazione di emozioni altrui, incapaci di farci riflettere, perché divenuti episodi quasi meccanicamente imposti al nostro controllo emotivo.
In questo ‘specchio’ di società è diventato impossibile fermarci ed allora diventa necessario trovare il senso della vita in attimi, in stati d’animo, in giorni che come il Natale ci bloccano in questa maratona infinita e aiutano a farci riprendere la nostra cinica corsa con uno spirito rinnovato.
Per questo è fondamentale ritrovare spunti di condivisione sociale, solidale in eventi che come quelli di antichi ‘Presepi viventi’, che Mirabella offriva: spettacoli che illuminavano di semplicità il nostro paese attraverso il colore dell’arte, proprio come il caro Edoardo che riponeva nella costruzione del suo Presepe il sogno di una vita migliore.
Per ritrovare il Natale è necessario non perdere completamente il filo con le tradizioni e la con storia, ridisegnare le immagini del passato e tramandarle agl’occhi spenti di chi non crede più a nulla e che proprio sul nulla basa la propria esistenza.
E così ritornando alla commedia tragicomica di “Natale in casa Cupiello”, per certi aspetti teatro di vita, Lucariello – protagonista principale, dopo l’impatto crudele con la ragione degli altri, con il loro irrazionale rifiuto a riunirsi – si isolerà ancora di più nel suo delirio tra sogno e veglia in quel suo eterno presente vissuto da bambino e quando capirà che il suo mondo visto come un giocattolo non serve più, che invece doveva uscire l’uomo, perché il bambino aveva vissuto troppo, non reggendo al duro colpo, si defilerà.
Neanche in punto di morte abbandona quella sua mania, forse l’unico vero senso della propria esistenza, che lo ha tenuto in vita. L’insistenza con cui continua a chiedere al figlio se gli piace il presepe, raffigura ancora una volta la voglia di rendere reale il suo sogno e dopo aver ottenuto finalmente il sospirato “sì”, Luca disperde il suo sguardo lontano per inseguire una visione incantevole: «un Presepe grande come il mondo».
Il Natale deve essere per tutti noi un po’ come il ‘presepe’ per Edoardo. Deve farci credere in qualcosa, deve restituirci la forza di andare oltre la freddezza dei nostri tempi e riportarci in una dimensione tra palco e realtà, dove sognare non è solo utopia ma una magica follia.
Maria Esposito


