Gennaro Gallo, la sua passione per l’archeologia e la storia degli scavi di “Aeclanum”
Per Gennaro Gallo l’archeologia non ha rappresentato solo un lavoro, ma una vera e propria passione, per certi versi quasi viscerale. Tutt’ora, dall’alto dei suoi 90 anni, quando ci racconta della sua lunga esperienza, Gennaro Gallo lo fa con un fervore tale, un entusiasmo, una dovizia di particolari che si rimarrebbe ad ascoltarlo per ore.
Alla sua persona bisogna infatti riconoscere notevoli meriti per l’archeologia irpina, prima per l’impegno profuso accanto al professor Giovanni Oscar Onorato nello scavo archeologico della Mefite, nella Valle di Ansanto di Rocca San Felice, e poi, soprattutto, in quello sannitico-romano di “Aeclanum”, nonché nell’esplorazione della necropoli neolitica di Madonna delle Grazie di Mirabella Eclano.
Ammirato e rispettato da coloro che hanno avuto la possibilità di collaborare con lui, ancora oggi Gennaro Gallo riceve numerose visite e manifestazioni di stima.
Stranamente proprio a Mirabella Eclano, suo paese natio, la sua figura rimane poco conosciuta. Speriamo, dunque, attraverso questa intervista che possa ricevere una degna notorietà e la riconoscenza che merita.
Signor Gallo, ci racconta come hanno avuto inizio gli scavi archeologici nella vecchia città di “Aeclanum”?
«Nel 1956 il professor Amedeo Maiuri, allora direttore della Soprintendenza di Napoli, con l’ausilio del professor Giovanni Oscar Onorato, decide di dare il via ad alcune ricerche archeologiche nella zona dell’Irpinia, partendo proprio dall’antica città di Aeclanum, situata alla frazione di Passo Eclano. Promotori dell’iniziativa furono allora anche il presidente dell’Amministrazione Provinciale, l’avvocato Vincenzo Barra, e l’Assessore alla Pubblica Istruzione, Giovanni Castagnetti».
Lei di cosa si è occupato?
«Guidato dal professor Onorato, dirigevo la squadra addetta agli scavi. Da lui ricevetti il compito di effettuare i primi saggi di scavo nella parte più alta della piccola collina a sud della S.S. 90, in una zona circondata da mura di conta che scendevano fino all’attuale ponte Pedamenta».
Quali sono stati i primi rinvenimenti?
«La prima cosa a venire alla luce è stato un “Macellum”, vale a dire un mercato coperto, situato ad una profondità di 60 cm. Il Macellum era un particolare mercato delle città romane, in cui venivano convogliate le merci destinate alla vendita. Questo era costituito da una grande rotonda, circondata da 12 pilastri di forma quadrata, costruiti con tufanelli e mattoni di terracotta, al cui centro è situata una piccola vasca di marmo con foro centrale dove è inserito un tubo di piombo lungo circa 65 cm; sul bordo c’era un piccolo incavo che serviva a far defluire l’acqua la quale, attraverso un canale in laterizi, veniva convogliata in una grande fogna che si trovava a circa 6 metri di distanza. La rotonda era rivestita per buona parte da sottili piastrelle di marmo bianco, circondata da botteghe. Tra gli altri rinvenimenti, che oggi si trovano nel Museo Irpino di Avellino, ci sono due grosse anfore di terracotta, tre lucerne, due bolli in terracotta con scritte in osco, un’ansa con scritte greche, una piccola pietra con semirotonda con un foro al centro (sicuramente un martello); un pezzo sottile di terracotta lievemente incavato su cui feci eseguire un calco che rivelò la figura di un leone che agguanta un toro, un gallo con la cresta in terracotta, una graticola, otto monete di bronzo che recavano la dicitura “Senatus consultum” (coniate su deliberazione del Senato romano), e infine cardini, aghi e stecchini di avorio. È stato però al secondo saggio che le ricerche si sono fatte ancora più interessanti».
Ci parli, dunque, del secondo saggio.
«Come le dicevo, è qui che la ricerca si fa ancora più avvincente. Viene infatti riportato alla luce un “peristilio” costruito con un piano a terrazzamento. Nell’architettura romana, il peristilio era un cortile contornato da colonne sulle quali si poneva un tetto che si appoggiava alla casa. Veniva così a crearsi un portico le cui pareti erano spesso finemente decorate con pitture e mosaici. L’interno del peristilio conteneva piante di fiori, fontane, statue ed anche vasche con pesci e piscine. All’interno della villa vengono trovate, abbattute dalla guerra, dieci colonne costruite in mattoni di terracotta, alte circa tre metri e mezzo, di cui sette con gli stucchi staccati e tre interamente dipinte, all’interno di rosso pompeiano, all’esterno di azzurro con fasce di rose rosse sovrapposte. Al centro di questo peristilio, oltre ad una vasca rettangolare, viene alla luce anche un “ninfeo”».
Per quanto riguarda il terzo saggio, invece, cosa ci può dire?
«Abbiamo continuato a scavare seguendo la “strada lastricata”, dove, ad un certo punto, abbiamo trovato un muro che la sbarrava. Un piccolo passaggio laterale conduceva a una basilica paleocristiana all’interno della quale è stato rinvenuto il famoso “battistero” a forma di croce greca, profondo circa due metri. Proseguendo gli scavi, lievemente a salire, si scoprono due scalini. Al di sopra del secondo scalino rinveniamo due “sime” in terracotta, il cui valore artistico è considerevole, circondate da lastroni in terracotta (probabilmente occultate per proteggerle). Lateralmente alle sime vengono trovati quattro grossi “dolia” in terracotta compresi di coperchi, che avevano contenuto sicuramente vino date le tracce scure nel fondo. A ridosso delle anfore, sulla parete del muro di sostegno dell’abside, c’era uno stucco dipinto, lungo 38 cm e largo 27, raffigurante una scena stupenda: una vite con foglie e quattro pigne di uva nera. Date le pessime condizioni al momento del rinvenimento, l’opera è andata distrutta; mentre tutti gli altri reperti si trovano tuttora al Museo Irpino. Ad ogni modo, dopo questa scoperta, il professor Onorato ritenne ampiamente esplorata la parte della collinetta, per cui ci diede indicazione di spostare le ricerche nella parte opposta, a ridosso di un piccolo campo sportivo. Ed è così che siamo passati all’ultimo saggio, proprio nella parte opposta».
Quali sono stati i rinvenimenti più importanti di quest’ultimo saggio?
«Beh, sicuramente il complesso termale. Non è stato affatto semplice riportarlo alla luce: abbiamo scavato ad una profondità di circa 5 metri. Tutto il complesso termale era costruito in cubetti di pietre (opus reticulatum). Al piano terra c’erano sette o otto sale con singoli ingressi, e in ognuna di esse c’erano moltissimi pezzi di lastre di marmo, utilizzati probabilmente per il rivestimento delle pareti. Nella sala più grande, alla profondità di circa 35 cm al di sotto del pavimento, vengono alla luce due tombe “alla cappuccina”. Sul piano a terrazzamento c’erano tre grandi sale: il “calidarium”, il “tiepidarium”, il “frigidarium”. Leggermente più sopra, al piano rialzato, rinveniamo una piccola sala con il pavimento in “cocciopesto”, all’interno del quale c’era una statua di marmo priva della testa, delle braccia e in parte delle gambe. Poco distante dalla sala c’era una piscina profonda due metri, parzialmente esplorata perché a ridosso del campo sportivo, al cui interno era situata una grande statua di marmo rappresentante probabilmente Amilcare, uno dei dodici figli di Niobe. La leggenda narra, infatti, che la madre Artemide riteneva i suoi figli più belli degli altri e, per questo, suscitò l’ira di Apollo e Diana. Gli dei, per punirla, le ammazzarono tutti i figli. La statua rappresenta un pastorello (lo si deduce dal bastone presente lungo il braccio sinistro) con la testa leggermente all’indietro, il mantello spiegato mentre corre (per sfuggire alla morte) e la mano destra alzata, in segno di resa. Questa fu una delle scoperte più incredibili: la statua è il secondo tesoro dopo le sime. Io stesso ero incredulo di fronte a ciò che vedevano i miei occhi: una statua maestosa con la testa staccata dal collo e poi riattaccata, le braccia sporgenti in avanti spezzate e le rimanenti parti poggiate all’altezza dei piedi, insieme ad un tassello di marmo di circa 30 cm non levigato. A tal proposito ho una mia idea: la statua stava per essere ultimata (lo deduco dal tassello non levigato) quando, allo scoppiare della guerra, nel trambusto, è caduta a terra. Così, per proteggerla, hanno rimesso la testa sul collo, poggiato le braccia ai piedi insieme al tassello, e l’hanno chiusa con lastroni di terracotta per poi occultarla».
E dopo, cosa accade?
«Alla luce di una tale scoperta il professor Onorato decide di espropriare tutta la zone per continuare le ricerche, ma i lavori vengono interrotti dopo quattro anni di scavo. Il tutto passa alla Soprintendenza di Salerno. Nel 1973 la Soprintendenza di Napoli pubblica una sintesi degli scavi effettuati in Irpinia, e poco dopo l’illustre professore Onorato muore. La mia passione era però diventata tale che a quel punto, nonostante fossi al di fuori di qualsiasi incarico, ho continuato a fare ricerche in modo autonomo, lavorando a volte anche di notte. Proprio durante queste ricerche ho rinvenuto la presenza di un anfiteatro e di altri importanti reperti che, ahimè, le amministrazioni e gli organi competenti non hanno ritenuto opportuno riportare alla luce. Questo per me rappresenta un grosso rammarico. Infatti, ad oggi, sono l’unico a sapere con precisione dove si trovino l’anfiteatro, le terme femminili e altri reperti dell’antica città di Aeclanum destinati in tal modo a rimanere inesplorati».
Perché non sono stati eseguiti altri scavi nella zona libera da costruzioni?
«Purtroppo chi ci rappresenta ha ritenuto dare priorità ad altre questioni. Per lungo tempo gli scavi sono rimasti avvolti nel silenzio, il che ha favorito numerosi atti di vandalismo. Basti pensare che le colonne, alte circa quattro metri, oggi sono ridotte a un metro o poco più. Molti ragazzi, infatti, usavano le pietre degli scavi per giocare al tiro al bersaglio. Inoltre, mancando un’adeguata supervisione, tante persone che vi si recavano per passeggiate o anche per curiosità pensavano bene di portar via qualche mattone, senza capirne il valore e la gravità di quello che stavano facendo. Per di più tutte le sospensive delle tre sale delle terme, costruite in mattonelle rotonde di terracotta, sono completamente scomparse. Solo di recente si sono avuti degli interventi di sistemazione e conservazione di ciò che è rimasto da parte della Soprintendenza di Salerno. Ricordo bene che durante gli interventi di ricostruzione dopo il terremoto, grazie all’esperienza acquisita non solo a livello pratico ma anche burocratico, ho evitato dei veri e propri episodi di sciacallaggio ai danni della povera gente: capitava sovente che durante gli scavi delle fondamenta per le abitazioni venissero fuori alcuni reperti, il che inevitabilmente bloccava i lavori; molti approfittavano di ciò per chiedere delle somme di denaro in cambio della continuazione degli stessi. Mi sono dovuto più volte esporre in prima persona per evitare che fossero compiuti simili soprusi. Posso dunque affermare con certezza che i reperti ancora da scoprire rimangano numerosi, anche al di fuori della così detta “zona archeologica”. Sta dunque all’impegno e alla volontà delle autorità comunali, provinciali e regionali far sì che questi possano essere finalmente riportati alla luce. Il nostro patrimonio storico-artistico è di assoluto prestigio, e promuovere oggi lo sviluppo culturale può contribuire sicuramente anche allo sviluppo economico del nostro paese».
Fabiola Genua


