Addio IRISBUS… dopo 33 anni la Fiat «abbandona» l’Irpinia
Addio Irisbus, la Fiat lascia definitivamente l’Irpinia dopo 33 anni. Tra rabbia e lacrime i lavoratori dell’unico stabilimento che produce autobus in Italia hanno timbrato per l’ultima volta il cartellino alle 15.30, alla fine del turno.
La fabbrica chiude, è la fine di una storia. Era il 22 dicembre 2011: nello stabilimento Irisbus di Flumeri, in Valle Ufita, vi erano 658 tute blu; Eureal Relax quaranta unità; Officine Leone novanta unità, altre piccole aziende legate all’indotto, ristoranti, bar, ecc, per un totale di almeno mille famiglie della Valle Ufita rimaste in mezzo alla strada.
Parliamo di € 1.500.000, per chi non avesse capito, un milione e mezzo di euro mensili circa. Questo è il danno procurato alla nostra Irpinia dalla scelta economico/aziendale della Fiat.
Le ripercussioni sono sotto gli occhi di tutti, emigrazione, calo dei consumi, disagio sociale. Sono andato a rileggere le esternazioni di quei giorni, e dei mesi successivi, di tutti i politici, locali e non e di tutte le aree politiche.
Tutti hanno rassicurato e promesso, ma poi?
Ebbene si, come saggiamente affermava Orwell, abbiamo la memoria corta e non chiediamo mai conto delle promesse ricevute durante campagne elettorali o mentre manifestiamo. Ma tant’è, siamo assuefatti, accettiamo tutto per poi protestare blandamente e rivotare allo stesso modo alla tornata elettorale successiva.
Il massimo della protesta è non andare ad esprimere il proprio voto, una delle più grosse sciocchezze che, solitamente, punisce chi non ha apparati elettorali forti e potrebbe essere portatore di innovazione e cambiamento. Ma in quel periodo, la cosa più scioccante, è stato il disinteresse totale dell’opinione pubblica.
Commercianti, imprenditori locali, grandi e piccoli, e cittadini in genere, nessuno ha portato avanti azioni di solidarietà. Si è persino arrivati ad affermare che gli operai se la sono cercata, «anni di doppi lavori e di malattie fasulle» avrebbero messo in ginocchio una realtà industriale forte e sana.
La vicenda è stata vissuta come lontana e non appartenente alla nostra Terra. Solo oggi, alcuni, si rendono conto del danno economico arrecato da quella chiusura, solo oggi, alcuni, recriminano sulle possibili azioni da intraprendere e mai intraprese.
La nostra Terra torna ad essere Terra di emigrazione, lo è sempre stata in effetti, e non riesce invece a trovare degli equilibri produttivi e di sviluppo sostenibile. Forse, e ribadisco forse, un ritorno alla terra, da coltivare, da piccoli imprenditori, il turismo di qualità e l’artigianato, potrebbero essere il volano per la ripartenza.
Oggi c’è una nuova teoria economica che cerca con grande difficoltà di emergere, è la teoria della “decrescita felice”. Come tutte le teorie va presa con le dovute precauzioni e non nella sua interezza, ma, una serie di affermazioni sono condivisibili ed andrebbero sicuramente valutate con la dovuta attenzione. Il rischio è di veder saltata una intera generazione dall’avviamento al lavoro.
Abbiamo frotte di giovani che non studiano e allo stesso tempo non sono alla ricerca di lavoro per estrema delusione i cosìdetti Neet, arrivati a 2 milioni 250 mila nel 2012, pari al 23,9%, circa uno su quattro.
Qual è il loro futuro?
Fino a quando la nostra economia potrà reggersi sulle pensioni e sugli “anziani”?
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