«After Earth», un kolossal fantascientifico
Will Smith lo aveva ideato qualche anno fa, seduto comodamente sul divano di casa mentre guardava un programma televisivo. Con l’aiuto del regista M. Night Shyamalan, l’idea si è trasformata in pellicola cinematografica. Chissà se Will, quella sera, immaginava che quelle scene sarebbero risultate monocorde e per nulla originali.
L’idea iniziale era inscenare una folle avventura di un padre e di un figlio dispersi in un luogo remoto e sconosciuto. Il succo non è variato, ma vi è stata aggiunta un’impronta prettamente scientifica. Bene, direte: ciò comporta scene d’azione, esseri immondi e luoghi meravigliosi e futuristici. Sì, ci sono ma in forma artificiale, incapaci di coinvolgere realmente lo spettatore.
Poco importa quando sullo schermo c’è un signor attore di nome Will Smith e, come se fosse un’edizione speciale, anche suo figlio Jaden. Smith Jr., che nel film prende il nome di Kitai, è il protagonista indiscusso del film: colui che è costretto a prendere le redini della situazione dopo il dirottamento dell’astronave su cui viaggiava col padre e il resto dell’equipaggio. La regione oscura e arida su cui approdano è il pianeta terra, abbandonato dagli uomini anni addietro e popolato da mostri e animali feroci.
Dopo la caduta dell’astronave, con l’equipaggio completamente disperso e il padre gravemente ferito ad una gamba, Kitai sarà costretto ad attraversare da solo la fredda selva abitata da pericolosi parassiti. Ogni cosa sul pianeta terra si è evoluta per uccidere gli uomini.
Gli Ursa, enormi mostri alieni, percepiscono la presenza di un uomo solo quando questo ha paura, essendo privi di occhi e orecchie. Guidato dal padre, il leggendario Cypher Raige, che si mantiene in contatto col figlio tramite sofisticati schermi, Kitai cercherà di lottare come un vero “ranger”: titolo attribuito solo a guerrieri capaci di non far trasparire la paura, perché, come dice suo padre, il pericolo è reale, la paura no.
In un clima pesante e selvaggio, c’è spazio anche per i sentimenti: quelli di un padre e di un figlio che per troppo tempo non sono stati in grado di esprimere a pieno la grandezza del loro legame. Da una parte il padre, incapace di essere un reale educatore di vita, a causa del lavoro che l’ha tenuto per anni lontano dalla famiglia. Dall’altra il figlio, in lotta con se stesso e col mondo per non sentirsi più un bambino, ma diventare uomo, in primis agli occhi del padre. Il viaggio di Kitai è un percorso di maturazione cui ognuno di noi è sottoposto, come succede in ogni favola.
After Earth è una favola del futuro, piena di silenzi e di ferite ancora aperte di un ragazzo troppo piccolo per diventare “ranger”, ma già grande per portare in salvo suo padre.
Irene De Dominicis