Marco Cozzo, il genio eclanese a Tolosa
Marco Cozzo, giovane talento eclanese nel campo dell’ingegneria aerospaziale costretto ad “emigrare” all’estero per dar vita ai suoi sogni. E’ questo, nostro malgrado, il denominatore comune che spinge molti giovani capaci e preparati a lasciare la propria terra d’origine per cercare di affermarsi dove ancora esiste una cultura che premia la meritocrazia. Marco è uno di loro che, dopo un’avventurosa esperienza in Sud Africa, è attualmente impegnato a Tolosa dove lavora per “Airbus”, una delle aziende europee più prestigiose a livello mondiale nel campo della costruzione di aeromobili.
Non nasconde certo il suo rammarico per la realtà politica e lavorativa italiana, Marco, che, nonostante tutto, spera in un reale cambiamento, in un’evoluzione positiva che gli permetta di far ritorno in patria e di poter mettere a disposizione le sue conoscenze per il bene della nostra nazione. Un ragazzo brillante, capace e soprattutto umile che non dimentica da dove è partito, e che porta in alto l’orgoglio di tutta la comunità mirabellana.
Marco, come nasce questa passione per l’ingegneria aerospaziale?
«La passione per la matematica e per la fisica ha sempre fatto parte di me, fin da bambino. Per questo ho frequentato il liceo scientifico “Aeclanum” al Passo di Mirabella, dopodiché mi sono iscritto alla facoltà di Ingegneria Aerospaziale alla Federico II di Napoli. Mi sono laureato nel febbraio del 2012».
Nello specifico di cosa ti occupi?
«Attualmente mi trovo in Francia, a Tolosa. Lavoro per “Airbus” all’innovativo velivolo A350-1000, il prodotto più all’avanguardia nel campo aeronautico. L’ “Airbus”, insieme alla “Boeing”, è una delle aziende più importanti nel campo dell’aeronautico a livello mondiale. Qui si progettano e realizzano aerei noti a migliaia di viaggiatori. All’interno dell’azienda ci sono persone provenienti da tutto il mondo, con culture, religioni ed opinioni notevolmente differenti, tutto il mondo in un pugno insomma!».
Hai avuto difficoltà ad adattarti in un contesto diverso da quello italiano?
«Tolosa non è tanto diversa dalle famose città italiane per cultura e per stile di vita, ma offre servizi ed opportunità che in Italia è difficile trovare, infatti, pensa un po’, qui c’è la metro a controllo automatico (senza pilota). Ci si adatta facilmente (si fa per dire!). Molto più “avventurosa” è stata l’esperienza in Sud Africa. Sono stato a Pretoria per 7 mesi, e ho lavorato presso “Aerosud”, un’azienda che collabora con “Airbus”, sul velivolo militare cargo A400-M. È stato abbastanza difficile adattarmi a quella cultura. Per un mese mi sono sentito completamente fuori luogo… Le cose più banali diventavano difficili, anche volendo provare a spiegarlo a parole è complicato! La difficoltà della lingua, il diverso modo di guidare, il concetto di essere umano visto in un’ottica completamente differente da quella europea. Era facile incontrare una zebra mentre si guidava! Normalmente ritengo di avere un ottimo spirito di adattamento, ma in Sud Africa è stato molto difficile».
Come mai questa scelta di andare a lavorare all’estero?
«Grazie a delle conoscenze all’interno dell’università, subito dopo la laurea ho trovato lavoro per una società che si occupa di consulenza in ambito aerospaziale a livello internazionale. Entrando nel campo dell’aerospaziale ho subito capito che se vuoi fare carriera devi andare all’estero! In Italia stiamo un poco “inguaiati”. La situazione economica e politica non da spazio ai giovani laureati nel campo dello sviluppo aerospaziale. Ma soprattutto non gratifica il lavoro di un ingegnere dal punto di vista economico. Nonostante alcune ditte molto importanti a livello mondiale, un ingegnere in Italia non è pagato per quanto vale. Il confronto con l’estero è notevole! Per esempio in Francia e in Germania un ingegnere metalmeccanico prende una cifra che non è paragonabile allo stipendio italiano. Anche questo è stato un motivo che mi ha spinto a cercare lavoro al di fuori dei confini nazionali».
Una decisione sicuramente difficile immagino, ma in certo senso quasi obbligata…
«Certo, la decisione non è stata facile… allontanarmi dal mio paese, dalla mia famiglia, dai miei amici, dalle cose a me più care, ha comportato una grande dose di coraggio, ma il desiderio di realizzarmi mi ha dato la forza per abbandonare le mie radici. Molte volte penso all’Italia e provo rabbia… non mi spiego come sia possibile che una nazione così bella e facoltosa, patria di numerosi uomini illustri che nella storia si sono distinti, oggi rimanga inerme davanti alla gigantesca migrazione di massa di tutti quei giovani laureati che potrebbero contribuire in maniera decisiva all’arricchimento del nostro paese, ma che, ahimè, oggi sono costretti per forza di cose ad andare all’estero. Certo, gli italiani sono sempre stati un popolo di emigranti. Qualche volta per tirarmi un po’ su penso ai miei avi, a quando, dopo la guerra, si sono avventurati all’estero con la speranza di migliorare la loro vita. Io non mi sento molto diverso da loro».
Hai mai preventivato un eventuale ritorno in Italia?
«Tornare in Italia? Certo! Magari! Un domani. Forse. Se le cose si raddrizzeranno. Se la mia nazione mi farà intravedere un segno di un reale cambiamento, sarei il primo ad investire la mia cultura, il mio sapere per la nazione che amo e che non merita assolutamente di essere “famosa” in Europa e nel mondo solamente per le vicende politiche, per gli spaghetti, la pasta e la malavita».
Fabiola Genua