Il sogno di Leo: «bianca come il latte, rossa come il sangue»… alla ricerca di Beatrice
Nel multisala cinema Carmen, si avverte ancora il profumo dei “connetti a mammellata” che Alessandro Siani ha menzionato più di una volta nel film “Il principe Abusivo”. Il film, di cui il comico napoletano è attore principale, regista e sceneggiatore, ha avuto una popolarità tale da stazionare sui maxischermi per più di un mese.
In questo caso, il successo passa da un Alessandro all’altro: dal 4 Aprile è al cinema il film di Alessandro D’Avenia, insegnante e scrittore, che esordisce come sceneggiatore con “Bianca come il latte, rossa come il sangue”. La storia è tratta dall’omonimo libro, di cui lo scrittore è autore, e prende il nome da una delle più belle poesie di Italo Calvino, che recita: «Un figlio di un re mangiava a tavola. Tagliando la ricotta, si ferì un dito e una goccia di sangue andò sulla ricotta. Disse a sua madre: Mamma, vorrei una donna bianca come il latte e rossa come il sangue. Eh, figlio mio, chi è bianca non è rossa, e chi è rossa non è bianca. Ma cerca pure se la trovi».
La trama del film è già narrata in parte nella suddetta poesia: il ragazzo, alla ricerca di una donna bianca e rossa, è il sedicenne Leo con la passione per il calcetto e avversione per la scuola. Come tutti gli adolescenti, Leo ha un sogno: si chiama Beatrice, la ragazza dalla pelle bianca come il latte e i capelli rossi come il sangue.
La vita di Leo procede normalmente tra la scuola, il calcetto, l’inseparabile compagnia degli amici Niko e Silvia, l’incomprensione con i genitori e il pensiero fisso su Beatrice. La svolta giunge con l’arrivo di un nuovo professore: un uomo giovane, soprannominato “il sognatore” per la sua voglia matta di riconcorrere i propri sogni.
Il sogno di Leo è Beatrice, ma per conquistarlo c’è bisogno di abbattere quel muro di timidezza che gli impedisce di parlarle. Quando Leo trova finalmente il coraggio di dichiararle il suo amore, la ragazza scopre di essere gravemente ammalata di leucemia. Il suo sangue, rosso come i suoi capelli, è completamente avvelenato. La continua infusione di farmaci, le ha strappato via la sua lucente capigliatura.
Leo si trova catapultato in una realtà troppo grande e dolorosa da affrontare: vivere d’amore, con l’ombra della morte, non è un’impresa facile. Leo, però, ne ha tanta voglia e decide di infondere la sua passione per la vita nel corpo malato di Beatrice: le insegna a suonare la chitarra, le scrive canzoni, danza con lei. La morte, però, è un male troppo grande da evitare. Pur scontrandosi con un dolore lancinante che gli mangia lo stomaco, Leo riprende la sua vita riscoprendo una nuova forma d’amore: quella per l’amica Silvia.
Il film è perfetto per un pubblico di adolescenti che meglio possono capire lo storia di Leo, vivendo ogni giorno la realtà della scuola, dell’amicizia e dell’infatuazione. Lo slang è giovanile, gli ambienti sono contrastanti: il cielo grigio di Torino si scontra con i colori forti della scuola, della camera di Leo, e, inevitabilmente, dei capelli di Beatrice. I colori sono un dettaglio importantissimo del film: Leo ne attribuisce uno a tutto ciò che influisce nella sua vita.
La passione è rossa, come i capelli di Beatrice; Silvia è azzurra, come tutti gli amici veri; il bianco è vuoto e privo di tutto, come la morte. L’epilogo della storia ha un qualcosa di speciale: lo spettatore riesce a sorridere pur avendo le lacrime agli occhi. L’obiettivo di D’Avenia era di scatenare la voglia di vivere nell’animo dello spettatore. Non a caso, alla fine del film c’è l’invito a prendere in considerazione la donazione del midollo osseo. L’invito, dunque, a donare la vita.
Irene De Dominicis